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documenti:razza-chianina:introduzione

INTRODUZIONE

Sul bovino di razza chianina sono corse e corrono tante leggende, per il semplice motivo che tutti ne hanno parlato e ne parlano senza non tenere nel dovuto conto la storia della sua evoluzione nel tempo. Di questa razza, infatti, abbiamo un’immagine mitica che nasce sia per lo straordinario candore del suo mantello, sia per le sue proporzioni gigantesche, sia per la possanza e l’imponenza del toro. Insomma, più che la realtà, nell’immaginario collettivo sopravvivono le notizie poetiche che Ovidio ci dava dei riti religiosi in cui comparivano queste coppie di bovi bianchi, simbolo di purezza, che partecipavano come animali sacri alle cerimonie degli antichi Romani. Anche la memoria dei vecchi contadini ha contribuito a creare il mito del “gigante bianco”, quando parlandone ai più giovani, rievocavano certe occasioni festive, come per esempio i cortei nuziali in cui i bianchi buoi, ornati di fiocchi rossi e sonori campanacci, trainavano il carro su cui era trasportata la sposa contadina.

Se poi teniamo presente che per un cinquantennio, dopo la fine della mezzadria, la razza chianina era quasi scomparsa dalle regioni originarie e che, si diceva, era allevata in paesi lontani, come il Brasile e il Canada, è facile capire perché, in assenza della realtà, l’immagine mitologica abbia preso una maggiore consistenza.

In Brasile e in Canada, tuttavia, non ci sono mezzadri né agricoltori che usano animali da lavoro come i buoi; lì per il lavoro dei campi è usata la forza di potenti macchine modernissime. Cosicché i vitelli di razza chianina in quei paesi erano allevati solo per la produzione di carne, sfruttando la loro struttura corporea molto più robusta di quella di altre razze; e soprattutto erano usati per l'incrocio industriale che permette di ottenere animali di elevata precocità, grande sviluppo, carne di eccezionale qualità, magra, rosea e sapida, anche se la razza incrociata è di mediocre qualità. La voce dovette arrivare anche in Italia e soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale, da dove gli animali erano partiti, e dove c’erano ancora pochi allevatori che, con tenace nostalgia, avevano continuato a tenere le stalle funzionanti, malgrado spesso il gioco, come si dice, non valesse la candela. Le iniziative di questi allevatori presero nuovo slancio, accanto ad esse ne nacquero altre e così quella razza che poteva definirsi in estinzione, oggi gode di una certa valorizzazione, anche se i capi allevati si mantengono entro un numero molto limitato. Fino ad una quarantina di anni fa, nessuno si era occupato di questo bovino, perché era considerato solo come animale da lavoro, come un aiuto del contadino nelle attività più pesanti nel lavoro dei campi; tra l’altro la sua diffusione era molto limitata, essendo circoscritta alla Toscana meridionale e in qualche zona dell’Umbria e in altre aree toscane dove vigeva il sistema di mezzadria.

In questi ultimi anni è stata l'associazione di Bettolle (SI), “Gli Amici della Chianina”, che organizza annualmente la festa del “Gigante bianco”, a cercare di rilanciare la conoscenza e la valorizzazione della razza chianina. Le motivazioni che hanno spinto l'architetto Giovanni Corti, insieme con la Pro Loco di Bettolle, a riparlare di questo splendido animale, sono state la necessità di promuovere a livello economico gli allevamenti locali e insieme la volontà di manifestare gratitudine al dottor Ezio Marchi, illustre veterinario e accademico, cittadino di Bettolle, che, come scienziato, tanto si spese per la valorizzazione di questo bovino.

Ma questa meritoria attività della Pro Loco di Bettolle si è fondata solo su una documentazione parziale, quella che le cronache ufficiali ci hanno tramandato e che riguardano principalmente le attività di studioso e di accademico del professor Marchi. Recentemente, infatti, durante una ricerca sulla Fattoria dell'Abbadia, che era stata del Ricasoli e poi del Bastogi ed infine del Ciuffi, si è avuta la gradita sorpresa di trovare fra i faldoni dell'archivio documenti che ci permettono di fissare, con adesione totale alla realtà storica, l'inizio dello studio, se non proprio della sperimentazione attuata sulla razza chianina. Se è vero, infatti, che l'allevamento su basi scientifiche del cosiddetto “gigante bianco” è stato svolto con maggiore consapevolezza nei primi anni Venti del Novecento, seguendo i suggerimenti e gli studi del Professor Ezio Marchi (1869-1908), considerato appunto il “padre della razza chianina”, le fonti documentarie conservate presso l'Archivio della Fattoria dell'Abbadia ci dicono, invece, che fu proprio il barone Ricasoli a partire dal 1864, cioè lo stesso anno dell'acquisto dell'azienda, a indirizzare la sua attenzione sull'allevamento bovino, chiamando il padre di Ezio, il dottor Francesco Marchi, a prendersi cura in qualità di veterinario di tutte le stalle della tenuta.

Ricevuta anno 1871: Prestazioni Francesco Marchi

Tanto per fare un esempio su come il Ricasoli voleva gestire l'allevamento degli animali, basti pensare che nel 1864 nelle stalle dell'azienda si trovavano 286 bestie vaccine, 301 suini e 708 capi di bestiame minuto (soprattutto pecore), mentre a distanza di appena dodici anni, la situazione sarebbe cambiata, perché le bestie vaccine erano aumentate fino a 445 capi, i suini avevano raggiunto il numero di 538, mentre erano scomparsi del tutto gli ovini 1), segno che l'azienda, con la fine della pastorizia, che è propria di un sistema agrario arcaico, si avviava verso forme moderne, basate su un'agricoltura avanzata tecnologicamente e su un allevamento di animali di pregio.

Questi nuovi e fin'ora sconosciuti documenti ci permettono oggi di affermare che, per quanto riguarda la storia moderna della razza chianina, occorre almeno anticipare di cinquant'anni l'inizio dell'interesse scientifico nei confronti della chianina e di fissare la nostra attenzione su altri personaggi, non solo sul dottor Ezio Marchi, ma anche sul di lui padre, Francesco, sul dottor Vincenzo Luatti (altro dottore veterinario di cui parleremo più avanti) e su altre decine di proprietari e allevatori che hanno avuto il merito di custodire e valorizzare la razza chianina.

Ed è utilizzando la documentazione trovata nell'Archivio Ciuffi e in molte pubblicazioni che via via sono state reperite, che si cercherà qui di delineare brevemente la storia degli allevamenti, dei mercati e dei proprietari che nell'area della Val di Chiana si sono adoperati a difendere, a salvaguardare e a promuovere questa razza che pare abbia ascendenti storici molto lontani.

1) ovviamente dalla fattoria perché, invece, a livello di Regno, la produzione sarebbe aumentata o si sarebbe stabilizzata, sulle quote del 1875, fino agli inizi del 1900. Vedi:Annuario statistico italiano
documenti/razza-chianina/introduzione.txt · Ultima modifica: 03/10/2022 01:55 da miro